Siamo ormai in viaggio da un po' di tempo, e oggi ci sembra giunto il momento di scrivere un articolo sull'Impero Inca, che ha dominato per un secolo - tra il 1438 e il 1533 - le terre che stiamo visitando, e ha lasciato un'impronta riconoscibile nella mentalità e negli usi della gente, a dispetto della colonizzazione duratura e brutale portata in dote dagli Spagnoli.
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The flag of ancient Tawantisuyu, taken from http://www.crwflags.com/fotw/flags/xi.html |
In particolare, ciò che vorremmo trattare in questo post è l'organizzazione sociale del Tawantisuyu, che presenta delle caratteristiche tanto peculiari quanto affascinanti. In effetti, i popoli di lingua quechua, e in particolare la Bolivia sotto l'attuale gestione Morales, fanno del ritorno agli antichi splendori dell'era incaica un tema ricorrente dell'immaginario collettivo e del discorso di politica interna attuale. Nelle parole e nei cuori di moltissimi peruviani e boliviani il sistema incaico è glorificato come un esempio di modo di governo giusto, prospero e multiculturale, opposto allo sfacelo sociale ed economico imposto all'America latina dai conquistadores europei.
La nostra opinione, che abbiamo sviluppato grazie all'esperienza sul campo e sui libri, presenta più sfumature, come approfondiremo nelle righe seguenti.
Prima di cominciare a discutere il tema, dobbiamo però citare almeno le due fonti principali per le nostre riflessioni sull'Impero Inca e sulla differenza tra questo e il regime coloniale que gli succedette, ossia l'incredibile volume "La conquista del Perù", scritto nel 1847 dall' americano W. Prescott, e l'analisi socioeconomica marxista "Le vene aperte dell'America latina", opera 'maledetta' dell'uruguagio Eduardo Galeano, che subì una censura estesa e causò numerose desapariciones tra i suoi lettori clandestini dal 1971 ad oggi. Sono due libri emozionanti e spietati, che non necessitano conoscenze specifiche per essere apprezzati ed amati, perciò procurateveli e date un'occhiata !
L'Impero Incaico, o Tawantisuyu ( = "regno delle quattro regioni", dalla divisione amministrativa dell'impero) dominò la parte centro-occidentale del Sudamerica per un tempo incredibilmente breve, se si pensa alla durata nel tempo dell'Impero Romano o di quello Egizio, e se si considera che in soli 95 anni di splendore fu capace di imporre un'impressionante omogeneità linguistica, religiosa, amministrativa e culturale alle anarchiche popolazioni che abitavano precedentemente il territorio. Eppure, nel tempo di esistenza del Tawantisuyu si ritrovano in nuce tutte le caratteristiche tipiche del ciclo vitale degli imperi millenari: rafforzamento locale nella regione del Cusco, in Perù; espansione militare inarrestabile e sottomissione delle civiltà vicine e lontane; contemporanea assimilazione e integrazione dei popoli conquistati, che potevano conservare alcuni dei tratti identitari delle rispettive culture assumendo però come proprie la lingua, la religione e il sistema amministrativo incaico; declino causato dalle lotte intestine; invasione da parte di forze esterne e perdita definitiva dell'identità originaria.
L'Impero Incaico fu un regime assoluto e totalitario, in un senso più profondo e più permeante di quanto l'Ancien Régime del Re Sole francese o il Terzo Reich hitleriano siano mai riusciti a incarnare. Elemento cardine per capire la struttura del Tawantisuyu è la figura dell'Inca, il monarca e 'padre' dell'Impero. In una società che considerava Inti, il dio Sole, come la più potente, minacciosa e sacra delle divinità (e fino a qui niente di nuovo), l'Inca incarnava l'intichuri, ovvero il figlio diretto del Sole, e come tale riceveva l'adorazione completa e indiscussa dei suoi sudditi. Quest'adorazione non traeva la sua origine dalla paura, come nelle peggiore dittature repressive contemporanee, o nella fascinazione carismatica per un capo che, per quanto investito di doti messianiche, restava pur sempre un uomo, come nel caso del Fuhrer tedesco o del Grande Compagno Stalin. Piuttosto, l'obbedienza totale era il prodotto della convinzione che l'Inca era Dio, e non un suo semplice messaggero, con tutte le conseguenze escatologiche che un tale pensiero poteva scaturire nelle menti e nei cuori della popolazione.
Detto della natura compiutamente assolutista del regime incaico, resta da spiegare il suo carattere totalitario. E' proprio questa, pensiamo, la caratteristica più interessante dell'Impero e che lo differenzia sostanzialmente, ad esempio, dall'Impero Romano. Ogni decisione politica, nel Tawantisuyu, era pensata all'unico scopo di riprodurre e perpetuare la prosperità dell'Inca e del regime creato per lui. L'ordine sociale e la stabilità erano le preoccupazioni uniche del governo. Il libero arbitrio degli uomini non era contemplato, e il governo si preoccupava di scegliere per i sudditi ogni aspetto della loro vita sociale e lavorativa. Il suddito incaico non decideva che lavoro praticare, ma bensì i compiti gli erano assegnati in base al territorio che occupava e alle risorse presenti in loco. Non sceglieva la propria consorte, che gli era invece assegnata dall'élite religiosa in giornate di 'sposalizi di massa', dove la volontà individuale contava ben poco. Non poteva cambiare città o regione secondo a suo piacimento, ma al contrario era soggetto al trasloco forzoso qualora le autorità lo ritenessero opportuno per ragioni demografiche o di ordine pubblico. Nessuna mobilità sociale era permessa, la società era divisa in rigide classi e gli uomini e le donne non avevano alcuna possibilità di terminare la propria esistenza in una posizione migliore di quella in cui l'avevano cominciata.
Descritto così, l'Impero Incaico sembrerebbe un regime da incubo, dove l'individuo era schiacciato sotto il peso dell'identificazione collettiva di un popolo nel suo dio-monarca. Perché dunque molti delle popolazioni del Sudamerica vagheggiano oggi per un ritorno ai tempi del Tawantisuyu, al punto che il presidente boliviano Evo Morales ha fatto aggiungere alla bandiera nazionale un'altra che richiama direttamente quella dell'Impero Incaico? E' questo vagheggiamento del passato solo una nostalgia del potere, dell'unità e dell'estensione del Tawantisuyu, un po' come accadde con la Oestalgie provata dai popoli ex-sovietici dopo la caduta del Muro, o sono invece determinate caratteristiche dell'organizzazione sociale inca ad essere esaltate e rimpiante dai popoli latinoamericani?
Noi propendiamo piuttosto per quest'ultima opzione.
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Flag of the Plurinational State of Bolivia taken from http://www.rbvex.it/ameripag/bolivia.html |
Gli stessi crismi totalitari che rendevano la vita di un uomo comune nel Tawantisuyu un percorso lineare e grigio fino alla morte, erano anche gli strumenti che consentirono la creazione di un sistema di previdenza sociale, fisica, morale ed economica capace di rendere la vita dei sudditi semplice e libera da qualsivoglia preoccupazione. L'ordine e la stabilità, si è detto, erano gli scopi ultimi del regime incaico. Per raggiungere tali obiettivi, l'organizzazione sociale era orchestrata in modo da prevenire ogni possibile rivolta collettiva, e da limitare al massimo lo scontento individuale. Così, se è vero che l'uomo non poteva scegliere il proprio lavoro, è altrettanto vero che era lo Stato stesso a preoccuparsi di trovare un'occupazione per tutti. La disoccupazione non esisteva, ed era anzi combattuta tenacemente come una pericolosa miccia sociale da spegnere nella maniera più risoluta possibile, e nel caso in cui il singolo cadesse in rovina era sempre lo Stato a ricollocarlo sul 'mercato' e a ridargli mezzi di sussistenza e speranza.
Per la stessa ragione, il lavoro di ogni uomo era pensato per conservarlo come suddito fedele e produttore efficace al servizio delle esigenze dell'Inca, e non per ucciderlo di fatica, di malattia o di stenti. Tutti i lavoratori erano sottoposti a ragionevoli turni di servizio, possedevano giorni di riposo ed erano curati a spese dello Stato. Se è vero che non potevano muoversi liberamente e che al contrario potevano essere spostati arbitrariamente, è anche vero che lo Stato si preoccupava di non traslocare coattamente degli individui abituati al clima andino nella selva amazzonica, e viceversa.
Tutto ciò, ancora una volta, non nell'ottica di una ricerca delle felicità dell'individuo singolo, ma bensì con l'obiettivo di formare un popolo di sudditi obbedienti e performanti. Sebbene il fine non fosse affatto 'democratico' dunque, come diremmo applicando una lente occidentale e contemporanea, gli effetti pratici positivi che si ripercuotevano sugli individui erano comunque considerevoli e la pace sociale una realtà comprovata. E' proprio a questo che si riferiscono gli odierni abitanti dell'ex-Tawantisuyu quando rievocano i fasti del passato. A una comunità politica forte e compatta, con uno straordinario sistema di welfare sociale e economico.
Nella stessa prospettiva, lo Stato incaico fu capace di garantire pace e sicurezza a tutte le popolazioni all'interno dei suoi vasti confini, ricorrendo all'uso della violenza solo nel momento della conquista di nuovi territori. Al contrario della civiltà Maya, ad esempio, che in Messico imponeva il suo duro dominio attraverso il terrore e la repressione, l'epoca del Tawantisuyu, almeno durante il suo apogeo, si caratterizzò per una sostanziale assenza di tumulti interni che fanno pensare a quella Pax Romana instaurata in Europa durante l'imperio di Augusto. Il trattamento riservato ai popoli assoggettati era infatti di una lungimiranza che sorprende l'osservatore abituato a pensare alla civiltà incaica come a una primitiva società di sanguinari guerrieri. Fatta salva l'imposizione di assumere la lingua quechua come idioma unico per le comunicazioni ufficiale, e di accettare di venerare il Dio Sole come divinità principale del pantheon religioso, i popoli conquistati avevano il diritto di conservare il proprio idioma locale nella vita comune e le loro divinità autoctone trovavano posto accanto a quelle incaiche nei maggiori templi della capitale del Tawantisuyu, Cusco.
La filosofia alla base di quest'atteggiamento degli Inca era, come la riporta lo storico Pedro Cieza de Leon, "non distruggere e non uccidere città e popoli che di lì a poco sarebbero passati a fare parte dell'Impero", e avrebbero dunque costituito importanti basi strategiche e considerevoli forze-lavoro.
L'esempio più lampante della tendenza descritta è quello della popolazione che abitava l'attuale Ecuador, che fu conquistata verso il 1480 ed arrivò a dare al Tawantisuyu il suo ultimo imperatore inca, Atahualpa.
Tracciare un bilancio di una civilizzazione è un'impresa quantomai ardua, tenuto conto delle innumerevoli sfaccettature che ogni cultura presenta e dell'insensatezza di applicare giudizi morali ad epoche storiche differenti da quella contemporanea. Analizzando gli elementi proposti nel corso di questo articolo, però, risulterà evidente la doppia natura dello Stato incaico nei confronti dei suoi sudditi. Da una parte, si trattava di un regime caratterizzato da una burocrazia disarmante, che non lasciava alcun adito alla creatività individuale e all'autorealizzazione personale, e che si prefiggeva un controllo capillare e terribile sulle attività del singolo. Dall'altra parte, l'Impero incaico riuscì a garantire la prosperità e la tranquillità di milioni di sudditi (tra 8 e 30, secondo gli studi) assicurando a tutti o quasi un lavoro, una casa, una consorte e un progetto di vita che liberava l'individuo da qualsiasi angoscia esistenziale.
Se all'uomo occidentale contemporaneo questo tipo di compromesso sociale potrebbe sembrare comunque inaccettabile vista l'importanza attribuita all'idea, spesso effimera, di libero arbitrio, è importante confrontare l'organizzazione sociale sotto l'Impero Incaico con quella imposta successivamente dai colonizzatori spagnoli.
Ogni evidenza mostra che i conquistadores, lungi dall'importare in America latina le idee cristiane di individualità e volontà personale, si limitarono a sovvertire il sistema sociale incaico nel senso che più si confaceva ai loro interessi industriali. Così, per gli indigeni conquistati non si trattò più di avere turni di lavoro giusti ed adatti alle proprie esigenze, ma piuttosto i lavoratori furano sfruttati come bestie, fino alla morte per sfinimento o malattie. Le donne non acquisirono alcuna indipendenza di scelta, e anzi spesso furono ridotte a schiave del piacere di nobiltà e soldataglia spagnola. La proprietà della terra e di tutte le risorse, che nel Tawantisuyu erano considerate un dono della Pachamama, la Madre Terra, alla collettività intera, furono espropriate integralmente dalla Corona spagnola, che non riconosceva alcun diritto di possesso alla popolazione indigena. Un esempio, tragico e sintomatico, è dato dalle miniere d'argento di Potosì, scoperte dall'indigeno Diego Huallpa e subito espropriate dagli Spagnoli che ne fecero la base dell'economia castigliana (ed europea) per più di tre secoli.
Considerato lo sviluppo storico che si produsse nella ex-società incaica dopo la sua conquista da parte spagnola, appare chiaro dunque come la condizione della gente comune peggiorò drasticamente con l'arrivo degli Europei. Le popolazioni originarie non persero solamente i loro diritti e lo stile di vita cui erano abituate, ma con la con la cancellazione della loro identità scomparve anche la dignità di esseri umani.
Ci appare ora più chiaro come molti dei popoli odierni del Sudamerica rimpiangano il sistema sociale creato dagli Inca, per la prosperità che seppe assicurare alle sue genti e per il forte senso di identificazione nazionale che regalò ai suoi sudditi. In un'epoca, come quella contemporanea, di incertezza diffusa, di frammentazione e di tumulto delle comunità nazionali, lo splendore dei tempi del Tawantisuyu continua ad esercitare un fascino irresistibile sulle menti e i cuori degli eredi degli Inca.