Ecco il nostro servizio sul 478esimo anniversario della fondazione della città di Lima, proposto senza successo alla redazione di The Post Internazionale:
I colori vivaci dei costumi tradizionali dei danzatori sulla plaza San Martin si mischiano e si confondono come chiazze sulla tavolozza di un pittore impressionista. Flauti andini, canti in lingua quechua e aymara, venditori che offrono ghiaccioli in spagnolo, bottiglie di Pisco Sour, il cocktail nazionale, che girano tra limeños e stranieri in un clima di baldoria chiassosa. Questo non è che uno dei tanti luoghi dove si celebra la festa per l’anniversario della fondazione di Lima, eretta dal conquistador spagnolo Francisco Pizarro Cortés il 18 gennaio 1535.
Per un momento gli abitanti di Lima cercano di non pensare ai numerosi problemi di questa città e di unirsi in una festa all’insegna dell’identità municipale. Le contraddizioni insite nella celebrazione dell’anniversario, che porta marcato a fuoco il segno del passaggio dei colonizzatori europei, non sono state affatto dimenticate, ma i limeños si sforzano piuttosto di affrontarle con quell’ottimismo incrollabile che costituisce una caratteristica così peculiare del popolo peruviano.
Con un gesto dal considerevole valore simbolico, il sindaco di centrosinistra di Lima, alcaldesa Susana Villaràn, ha aperto le celebrazioni il 17 gennaio consegnando una targa di riconoscimento al presidente della comunità quechua peruviana, quella che parla ancora la lingua dell’antica civiltà Inca, a sottolineare che la città non scorda il suo passato pre-coloniale. «Lima esiste così come la vediamo da 478 anni, ma non bisogna dimenticare che nell’area dove sarebbe poi stata edificata la città erano presenti insediamenti urbani da millenni», dice Enrique Paolo, graphic designer di 31 anni e attivista impegnato nell’affermazione delle identità indigene della città. «I quechuahablantes, ovvero i peruviani che parlano il quechua, non sono una minoranza etnica ma una vera e propria popolazione. É per questo che il nostro sindaco, la luchadora social Villaràn, ha voluto commemorare la Lima originaria e rendere omaggio alla comunità autoctona della capitale».
La città di Lima conta oggi più di otto milioni di abitanti che costituiscono quasi il 30 per cento della popolazione dell’intero Perù. In un Paese che ha il 45 per cento di abitanti di etnia quechua o aymara e solo il 15 per cento di bianchi, molti club e discoteche della capitale praticano ancora la discriminazione all’entrata nei confronti della popolazione indigena o mestiza (mulatta). Famoso è il caso del Café del Mar, la discoteca più in voga della città posseduta dal celebre calciatore del Bayern Monaco e icona peruviana Claudio Pizarro. Dopo numerose denunce per razzismo, fu chiusa temporaneamente nel 2007 per aver più volte impedito l’ingresso a clienti meticci.
Come spiega Illariy Ortiz, studentessa universitaria 23enne di fotografia di ascendenza svedese e quechua, le cause della discriminazione nei confronti della popolazione indigena sono da ricondursi all’immigrazione esponenziale verso Lima da parte della gente della Selva, la foresta amazzonica che occupa tutta la parte Est del Perù: «Negli anni Ottanta sono stati due i fattori che hanno portato alla rivoluzione demografica della capitale: da una parte l’attività terroristica della guerriglia maoista di Sendero Luminoso, che compiva le sue azioni dimostrative nelle zone rurali e aveva come campi base dei villaggi nella foresta. Migliaia di peruviani terrorizzati hanno preferito prendere quello che avevano e trasferirsi a Lima piuttosto che restare a casa e vivere nella paura.
Negli ultimi anni, tuttavia, il dato razziale sta lasciando spazio a quello economico nella stratificazione sociale. L’elezione del primo presidente indigeno Alberto Toledo nel 2001, ha senz’altro giovato in questo senso, contribuendo ad abbattere numerosi pregiudizi antropologici sulla popolazione indigena. «Un po’ come in tutto il resto del mondo, oggi la reputazione sociale e di conseguenza la discriminazione a Lima avvengono su base di classe. Quegli indigeni, e soprattutto quei mestizos (incroci di bianchi e nativi) che riescono a fare carriera ed accumulare ricchezze ricevono ormai un trattamento uguale a quello dei bianchi. Quelli che non riescono a trovare un’occupazione e vivono d’espedienti, restano invece ai margini della scala sociale», spiega Illariy.
Così mentre nei pueblos jovenes, le baraccopoli all’estrema periferia della capitale, i nullatenenti si sforzano di tirare su nuove chozas, squallide baracche di stuoia e fango, e nel quartiere affaristico di San Isidro facoltosi broker finanziari trasformano numeri astratti in denaro contante come in un rito messianico, milioni di limeños comuni affollano le piazze del centro per celebrare il compleanno della loro amata città. Eccitati, ubriachi, inguaribilmente ottimisti.
é interessantissima questa panoramica sui molteplici problemi di unpaese che ha subito in modo così pesante la colonizzazione, e riesce ancora a mantenere i suoi valori! Peccato che L'Internazionale non l'abbia recepito!
RispondiEliminaComplimenti anche per le foto!