domenica 15 settembre 2013

A Long Long Time Ago


Dalla città di Cochabamba abbiamo deciso di spostarci nuovamente verso sud per andare a visitare il Parco Nazionale di Torotoro, che si trova nella parte settentrionale del distretto di Potosi - dove eravamo già stati.
Con un viaggio di 6 ore su strade molto malmesse e burroni mozzafiato giungiamo quindi al minuscolo villaggio di Torotoro, che ci accoglie con un singolare scenario. Sulla piazzetta principale non svetta infatti come d'abitudine una chiesa coloniale, ma bensì un kitchissimo modello a grandezza naturale di un Carnosauro infuriato.
Il Parque de Torotoro si propone infatti come un'area protetta dove il tempo si è fermato più di 200 milioni di anni fa. Oltre alla straordinaria ricchezza di piante e animali scomparsi altrove, sono le tracce di numerosi tra i dinosauri che dominavano la Terra a quell'epoca che rendono quest'area una perla unica e pressoché sconosciuta al mondo. Nei due giorni (e tre notti) che abbiamo passato nel parco abbiamo avuto la fortuna di visitare dei paesaggi naturali incredibili e di farci un'idea su com'era la vita nel mondo milioni di anni prima che l'uomo vi mettesse piede - ovvero 65 milioni di anni fa.

In compagnia di Carmel, un simpatico ragazzo israeliano che si è rivelato una vera miniera di informazioni sui dinosauri, abbiamo compiuto due splendide escursioni di una giornata sempre a partire dal piccolo villaggio di Torotoro. La prima è stata principalmente incentrata sulla ricerca e l'interpretazione delle orme di dinosauri sparse in varie zone del parco. Sinceramente, per noi che siamo stati svezzati da Piedino e la Ricerca della Valle Incantata (Le petit dinosaure et la vallée des merveilles) e poi siamo cresciuti nel mito di Jurassic Park quest'è esperienza è stata indimenticabile !
Le orme si sono conservate attraverso i millenni perché la zona dove sorge oggi il Parco di Torotoro era in passato un'area paludosa, dove i maestosi rettili lasciavano delle impronte che poi si solidificavano nel fango conservando le tracce del passaggio degli animali. Successivamente, i cambiamenti climatici hanno trasformato il fango in calcare grigio che ha permesso la solidificazione delle orme e la sua conservazione fino ai giorni nostri.


Velociraptor footprint at Parque Nacional de Torotoro - click on the picture to see the entire photogallrey


Ci che ci ha colpito in particolare, oltre allo straordinario stato di preservazione delle impronte, è stata la vivida immagine dell'ecosistema dei dinosauri che ha preso forma nelle nostre teste durante la visita. I film holliwoodiani rappresentano spesso i dinosauri carnivori come dei mostri terrorizzanti e solitari i cui unici contatti con altri animali avvenivano nei momenti di caccia, quando tendevano dei veri e propri agguati alle loro vittime. La verità è molto più simile a ciò che accade nelle savane odierne, dove leoni e gazzelle si trovano spesso a bere gli uni di fronte agli altri senza grossi problemi, e dove i predatori sono temuti solo quando si trovano alla ricerca disperata di cibo. Così noi stessi abbiamo potuto constatare la presenza di branchi di velociraptor, distinguibili dalle impronte che mostrano due dita più un artiglio ricurvo, a pochi metri da quelli di grossi dinosauri erbivori, riconoscibili dalle impronte molto distanziate tra loro e molto profonde nel suolo.

Per concludere la camminata naturalistica siamo andati a visitare il canyon di Huacasenqua, profondo circa 150m. Una volta scesi fino al rio Torotoro, ci siamo ritrovati in uno scenario meraviglioso, dove alcune pietre piatte ci hanno permesso di smettere gli abiti da trekking e metterci a prendere il sole in costume. In più, numerose piccole cascate punteggiavano le pareti del canyon scaraventando l'acqua sul fondo del canyon e creando dei meravigliosi giochi di luci grazie ai riflessi del sole, della vegetazione e della pietra sull'acqua.. un verso Paradiso terrestre!

La seconda escursione ci ha portato invece fin dentro le viscere della terra, nella grotta di Umalajanta. Per raggiungere la caverna abbiamo attraversato una grande porzione del Parco senza incontrare pressoché nessun altro individuo, eccezion fatta per qualche campesina che portava gli animali al pascolo.
La grotta è la più profonda di Bolivia, con i suoi 4600m di profondità, e costituisce una vera e propria sfida per chi decide di avverturarvisi. Infatti gli scavi, cominciati nel 1956, hanno reso l'accesso possibile ma non certo agevole ai visitatori. Oltre all'obbligo di indossare casco e lampada a metano, infatti, al visitante è richiesto uno sforzo fisico abbastanza estremo. Per entrare bisogna infatti letteralmente strisciare sotto le mura della caverna, in condizioni di spazio ridottissimo e ossigeno limitato. Non è certo un'esperienza adatta ai claustrofobici o ai turisti sovrappeso!
Lo sforzo richiesto per entrare nella grotta è stato però ampiamente ripagato dalla bellezza del paesaggio all'interno. Stalattiti, stalagmiti, ruscelli d'acqua verde e blu e pipistrelli ciechi ci hanno fatto scordare il panorama andino che ci attendeva all'esterno e proiettato per qualche ora in una dimensione umida e misteriosa.

Dopo un'ultima notte spesa nel paesino di Torotoro con Carmel, siamo ritornati a Cochabamba dove abbiamo detto infine arrivederci al nostro caro amico e ospite Fernando, e abbiamo preso un autobus notturno a lunga percorrenza con direzione La Paz, il cuore innevato di Bolivia.

venerdì 13 settembre 2013

There's Always Room on the Broom


Lasciateci alle spalle gli abissi infernali del Cerro Rico e il clima rigido e spietato di Potosì, ci siamo spostati verso nord raggiungendo Cochabamba, città situata quasi al centro geometrico della Bolivia e diversissima per tanti aspetti dalla capitale da cui provenivamo.

Cocha è famosa tra i boliviani per il suo clima tiepido e soleggiato, ben diverso da quello che caratterizza quasi tutto il resto dello Stato andino. I cittadini della città se ne vantano, citando il proverbio "las golondrinas nunca migran de Cochabamba", ovvero le rondini non lasciano mai Cochabamba. Allo stesso tempo, i boliviani proveniente dal resto della nazione replicano perfidamente che il clima è l'unica cosa bella della città, visto che non vi è un singolo edificio che valga la pena visitare!!

Da parte nostra, pur riconoscendo che la città non offre certo vedute o monumenti indimenticabili, ci siamo fermati quasi 10 giorni a Cochabamba.
Un po' perché qui abbiamo trovato un ospite CouchSurfer  e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e, Fernando, che ci ha trattato veramente come gente di famiglia, e ci ha convinto a restare nella sua bellissima casa ben più dei due-tre giorni che ci eravamo prefissi.
Un po' perché Cochabamba è una metropoli pulsante e multiforme, una delle città più vive di Bolivia, con le tante attività culturali, i suoi mercati indigeni pieni di oggetti meravigliosi e inenarrabili cianfrusaglie, le ONG attive sulle piazze e nelle strade per creare una coscienza critica nelle persone, gli artisti che bloccano il traffico e spargono un po' di colore tra i palazzi seri delle imprese e delle istituzioni..

Il meglio della città l'abbiamo scoperto grazie a Fernando, il nostro ospite boliviano trapiantato da tanti anni a Washington, che appena può se ne scappa da Gringolandia - gli Stati Uniti - e torna in Bolivia a cercare di scoprire il più possibile del meraviglioso patrimonio culturale e naturalistico del suo paese.
Con lui siamo stati ad uno strampalato e fantastico concerto di musica andina psichedelica, che univa alle sonorità indigene delle chiare influenze dei Pink Floyd e di Eric Clapton. Quella serata in un antico teatro coloniale ad ascoltare i los Wari strimpellare il charango e la batteria elettrica resterà uno dei ricordi più affascinanti del nostro soggiorno a Cocha!

Con Fernando siamo andati anche al Mercado central, uno dei più grandi ed autentici dell'America latina, dove il nostro amico ci ha insegnato il secolare rituale della yapita, un altro esempio di quell'intricato meticciato d'identità che contraddistingue la Bolivia. 'Yapa' è una parola quechua che significa 'aggiunta', e che nella lingua degli Inca indicava l'usanza di concludere la negoziazione di un affare chiedendo al proprietario della merce che si stava per acquistare un 'surplus' del prodotto a titolo di cortesia. La tradizione si è conservata fino ad oggi, così le campesinas di Cochabamba sigillano i propri accordi ottenendo come yapita due pomodori extra, o una cipolla, o un po' riso in più. Lo spagnolo boliviano ha assimilato il termine e il concetto a tal punto che molti tra i giovani non ne conoscono nemmeno più l'etimologia né la storia che vi è dietro.


The Witches' Market in Cochabamba - click on the picture to see the entire photogallery

Il Mercado central è interessante soprattutto per la grande zona destinata ai prodotti esoterici, chiamata mercato de las Brujas, ovvero delle Streghe. Qui si compra ogni sorta di pozione, intruglio, erba medica, malocchio verbale o panacea fisica e spirituale. Ogni prodotto cura un malessere diverso, dalla stanchezza fisica al mar d'amore, dall'impotenza ai rovesci lavorativi. I venditori di questa zona, però, non sono semplici commercianti, ma si considero piuttosto veri e propri curanderos, guaritori, così che non amano farsi fotografare o spiegare nei dettagli ai curiosi le virtù di ogni medicamento. Ci pensa Fernando allora a spiegarci ciò che non riusciamo a capire da soli. I mucchietti di foglie e piume che vediamo mantenuti in bilico con deferenza sono le offerte che i boliviani offrono alla Pachamama e agli spiriti della Fortuna e della Famiglia quando cercano benevolenza e buona sorte. 
Ma sono degli strani animali imbalsamati, che quasi sembrano finti nelle loro pose tristi ed avvizzite, che ci lasciano interdetti ed affascinati. Si tratta di feti di lama, che secondo la tradizione devono essere interrati sotto le fondamenta di una nuova casa o dell'impresa che si vuole aprire per far capire agli spiriti maligni che devono girare a largo. Al di là della facile ripulsa del visitatore occidentale moralista, anche applicando tutti i filtri culturali verso un'usanza che non ci appartiene e che non possiamo giudicare resta la forte impressione lasciata da questi piccoli cadaveri scheletrici dal collo smisurato e le orbite vuote. Per non parlare del grande rammarico provocato dal dato che i lama stanno ormai scomparendo dalle Ande per la caccia indiscriminata di cui sono vittime anche a scopo cerimoniale.

Durante il nostro soggiorno a Cocha, Fernando ci ha consigliato due paesini sperduti dell'altipiano centrale boliviano che secondo lui meritavano una visita in giornata partendo dalla città. A dirla tutta, forse il nostro amico si è fatto un po' trascinare dall'entuasiasmo quando ci ha spinto a recarci a Totora. Si tratta in effetti di un bel paesino coloniale che ha sofferto un irreparabile abbandono a partire del 1900. Un problema per l'economia del posto, ma una fortuna per i visitatori che possono apprezzare un villaggio arrivato direttamente dal 18esimo secolo, senza nessuno sconvolgimento edilizio portato dall'urbanizzazione e dal cambiamento del paesaggio. Tuttavia, le quasi otto ore di pullman (andate e ritorno) su strade per lo più non asfaltate ci sono parse un motivo sufficiente per attenderci qualcosa di più delle romantiche mura diroccate di un villaggio di agricoltori!


A lonely campesina at the Totora main square - clicl on the picture to see the entire photogallery

Ci è rimasto invece più impresso il villaggio di Tarata, che abbiamo visitato sotto l'abile guida di Fernando ed in compagnia di sua cugina Rosa. Anch'essa un villaggio coloniale, anch'essa solitaria e decadente nella sua scrostata bellezza spagnoleggiante, Tarata possiede una bellissima piazza centrale ornata di alberi di palme (a 2500 metri di altitudine!) sulla quale troneggia la massiccia cattedrale neoclassica di San Pedro. Al centro della piazza si erge anche il monumento al charango, il chitarrino a dieci corde che è lo strumento nazionale della Bolivia e che è stato inventato proprio in questa minuscola cittadina durante il 18esimo secolo.

Ma la visita a Tarata è stata soprattutto l'occasione di scoprire il vasto convento francescano che si innalza su un'altura sopra la città, dove un gioviale monaco basco che sembrava Babbo Natale ci ha fatto gli onori di casa portandoci a zonzo per i giardini e le sale. A quanto pare, il monastero fu fondato nel 1792 come base missionaria per i monaci, e nel tempo fu fornito di una biblioteca che conta oggi più di 8000 volumi. La splendida architettura mestiza, i grandi spazi aperti tenuti alla perfezione, l'atmosfera di ordine e laboriosità che si respira tra le mura ha provocato su di noi un effetto piuttosto straniante rispetto all'aria di sonnecchioso abbandono del resto della cittadina.

Certo non potevamo lasciare Tarata senza aver prima visitato ciò che resta della casa dell'antico presidente boliviano Mariano Melgarejo, originario proprio di questo villaggio. L'abitazione è ormai ridotta a un rudere, ma entrarvi dentro è stata l'occasione per apprendere grazie a Fernando la storia di quest'uomo terribile e strampalato.
Melgarejo è il classico esempio di dittatore bifolco, sanguinario e folle che funestò lo stato andino dopo l'indipendenza della Bolivia dalla Spagna. In quell'epoca di vuoti di potere e passioni violente spesso a farla da padroni erano i militari che si accaparravano il potere tramite colpi di Stato e continue prove di crudeltà. Melgarejo fu un perfetto esemplare di uomo di tale fatta, ed è ricordato tra i boliviani per la sua avidità, per l'assoluta ignoranza politica e per il suo alcolismo cronico. Assai peggiori dei suoi difetti personali furono però le decisioni che prese per conto dello Stato. Cedette infatti una gigantesca parte del territorio boliviano orientale - su cui vivevano molte popolazioni indigene - al Brasile per una cifra irrisoria, concesse a svariate imprese cilene di sfruttamento minerario i diritti per l'esportazione e la lavorazione delle materie prime nazionali e soprattutto negò ed abusò dei diritti più elementari delle popolazioni originarie quechua ed aymara rafforzando la dominazione elitaria di bianchi e mestizos.


An ancient colonial building in Tarata - click on the picture to see the entire photogallery

La presidenza di Melgarejo, che durò dal 1864 al 1871 quando un altro colpo di Stato mise finalmente un termine al suo dominio assoluto - e alla sua stessa vita - è ricordata con tale odio da parte dei cittadini che ancora oggi circolano degli episodi che hanno i contorni della leggenda sulla vita del dittatore.
Si dice così che alla base della sua decisione di firmare l'infame trattato di Ayacucho, con cui la Bolivia cedeva inopinatamente parte del suo territorio al Brasile, vi fosse il dono di un bellissimo cavallo bianco che un ministro brasiliano fece a Melgarejo. Questi, come ringraziamento, prese una mappa della Bolivia e vi disegnò sopra una testa di cavallo dicendo "Io ricambio il dono offrendovi questa parte della nazione".
In un'altra occasione, Melgarejo sarebbe venuto a conoscenza dell'invasione della Francia da parte della Germania, nel 1870, ed essendo un fanatico del can-can avrebbe deciso di inviare le sue truppe a difendere strenuamente Parigi. Quando un generale gli fece notare che il suo ordine era piuttosto arduo da eseguire, e che le truppe avrebbero dovuto attraversare l'Oceano Atlantico, il dittatore adirato rispose: "Non dica corbellerie, incompetente! Prenderemo una scorciatoia per i boschi!"

Con questo racconto tragicomico abbiamo quindi lasciato Tarata e siamo tornati nella città di Cochabamba. Da lì, abbiamo fatto ancora un'altra splendida escursione al Parco dei dinosauri di Torotoro, che sarà l'oggetto del prossimo articolo del blog.